C’è un’espressione popolare nel mondo della pallacanestro: ad un allenatore il fallo tecnico non viene fischiato; è lui che decide di farselo fischiare.
Prendiamo Gregg Popovich, l’allenatore dei San Antonio Spurs e della nazionale a stelle e strisce, il coach più pagato della NBA. Quando la sua squadra non sta giocando con abbastanza intensità, quando gli arbitri non sono in linea con la sua visione di gioco, quando il pubblico ha bisogno di essere coinvolto, o quando è semplicemente stanco di guardare la sua squadra non seguire le sue indicazioni, eccolo arrabbiarsi “a comando”, allo scopo di farsi affibbiare un fallo tecnico. A volte, prima di continuare a sbraitare per prendere un secondo fallo tecnico (con conseguente espulsione) anticipa al suo vice-allenatore che sarà lui a dover prendere in mano le redini della partita.

La cosa pazzesca è che questa esplosione di rabbia calcolata ottiene, spesso, l’effetto desiderato. La squadra si sveglia. Gli arbitri iniziano a cambiare metro di giudizio. II pubblico diventa più interessato.

Inutile dire che si tratta di una situazione in cui è difficile trovare un punto di equilibrio: spesso quando a giocatori ed allenatori viene fischiato un fallo tecnico, l’esplosione di rabbia significa solo un danno per la squadra in termini di punti, senza nessun reale vantaggio. I pericoli connessi alle esplosioni di rabbia erano già analizzati al tempo dei filosofi stoici: questi mettevano in guardia di fronte alle passioni ed emozioni che non si è in grado di controllare, quelle che possono esplodere nei momenti meno opportuni. Di fronte ad una rabbia intenzionale e diretta, come quella di Popovich, che cosa avrebbero pensato?

Probabilmente, sarebbero stati d’accordo. Sicuramente, il filosofo imperatore Marco Aurelio, nel suo ruolo di comando, si trovò spesso ad urlare di rabbia. A volte è l’unico modo per superare le difese delle persone, e fare arrivare il proprio messaggio. Per catturare la loro attenzione e stabilire l’autorità necessaria in un ruolo come era quella imperiale. Un imperatore che non si fosse mai arrabbiato, che le avesse lasciate passare tutte, non avrebbe ottenuto il rispetto del suo popolo: un tale atteggiamento, troppo disinvolto, avrebbe potuto significare la perdita di milioni di vite. Un ragionamento, che in un contesto diverso, vale anche rispetto a leadership e management. Tuttavia, c’è una grande differenza tra la rabbia finalizzata ad un obiettivo e quella senza controllo: un altro imperatore romano, Adriano, si arrabbio così tanto con un suo assistente da arrivare a pugnalarlo in un occhio.

Può essere utile anche ricordare una vicenda collegata ad un altro stoico, Diogene. Durante un suo discorso, dedicato proprio al tema della rabbia, venne disturbato da una persona in mezzo alla folla, che non soddisfatta gli sputò addosso. “Non sono arrabbiato”, rispose Diogene con un sorriso, “ma non sono sicuro se questo sia giusto”. Ecco trapelare l’idea di cui stiamo parlando: a volte la rabbia può essere usata per essere più efficaci. Quando abbiamo la situazione sotto controllo, c’è una grande differenza tra apparire arrabbiati e perdere davvero la pazienza.

In conclusione, come regola generale, la rabbia deve essere evitata, tenuta sotto controllo. Una volta raggiunto questo obiettivo, così come il fuoco, essa può essere utilizzata come strumento di leadership, ma solamente dopo essersi preparati ed allenati in modo adeguato.

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