
È notizia di qualche settimana fa che Pager, un macaco di 9 anni, è in grado di giocare ai videogiochi con il solo pensiero. Già a inizio febbraio, Elon Musk in persona lo aveva anticipato su Clubhouse parlando di Neuralink, la sua azienda che studia e produce chip cerebrali per lo sviluppo d’interfacce neurali. Ora che il video di Pager che gioca col pensiero è di pubblico dominio, la domanda che tutti si pongono è: i robot stanno arrivando?
Beh, ci sono una buona e una cattiva notizia: la cattiva è che i robot in realtà già sono arrivati da un po’; la bella è che non sono qui per portarci via il lavoro ma, in teoria, per facilitarci la vita.
Le automazioni dei processi robotici stanno indubbiamente trasformando gli ambienti di lavoro a un ritmo sostenuto. Anche se i dirigenti generalmente fanno passare questi bot come un bene per tutti (in quanto “snelliscono le operazioni” e “liberano i lavoratori” da compiti banali e ripetitivi), in realtà non è raro constatare che stanno privando molte persone del loro lavoro.
Secondo un’ indagine del New York Times si scopre che spesso dietro alle grandi iniziative di automazione, che si vantano di contribuire a migliori condizioni di lavoro, sia in realtà il taglio dei costi ad essere il fattore trainante.
Craig Le Clair, un analista di Forrester Research che studia il mercato dell’automazione aziendale, afferma che per i manager buona parte del fascino dei bot sta nel loro essere economici, facili da usare e compatibili con sistemi back-end esistenti. Senza dimenticare, poi, che non chiedono giorni liberi, permessi o vacanze.
Il Covid-19 ha portato alcune aziende ad avvicinarsi all’automazione per affrontare molte delle problematiche portate dalla pandemia. Per altre, invece, gli eventi del 2020 hanno fornito una scusa per implementare ambiziosi piani di automazione già pianificati in precedenza.
Se prima della pandemia alcuni dirigenti avevano rifiutato offerte di automatizzazione perché preoccupati per un possibile effetto negativo sui dipendenti, ora, con milioni di persone già senza lavoro e con molte aziende che lottano per rimanere a galla, gli scrupoli sono diminuiti.
Basti pensare che le vendite di software di automazione stanno aumentando del 20%, dopo essere già aumentate del 12% lo scorso anno. La società di consulenza McKinsey, che aveva previsto prima della pandemia che 37 milioni di lavoratori statunitensi sarebbero stati spodestati dall’automazione entro il 2030, ha recentemente aumentato la sua proiezione a 45 milioni.
Intendiamoci, non tutti i bot sono della tipologia in grado cancellare posti di lavoro tradizionali. Come afferma Holly Uhl, un tecno-manager alla State Auto Insurance Companies, la sua azienda ha usato l’automazione per un totale di 173.000 ore di lavoro senza licenziare nessuno. “La persone sono preoccupate di perdere il lavoro o di non avere nulla da fare”, ha detto. “Ma una volta che abbiamo un bot attivo, e le persone vedono come viene applicata l’automazione, sono veramente entusiasti di non dover più fare quell’attività”.
Man mano che i bot diventano capaci di prendere decisioni complesse, piuttosto che fare singoli compiti ripetitivi, il loro potenziale cresce.
Jason Kingdon, l’amministratore delegato dell’azienda di robotica Blue Prism, si riferisce ai bot della sua azienda come “lavoratori digitali”. Il manager sostiene che lo shock economico della pandemia ha “aumentato massicciamente la consapevolezza” tra i suoi dirigenti sull’ampiezza delle aree di lavoro che non richiedono più il coinvolgimento umano. “Pensiamo che qualsiasi processo aziendale possa essere automatizzato”, Kingdon ritiene che oltre la metà dei compiti attualmente svolti nelle aziende possano essere espletati dalle macchine: una visione di un futuro in cui gli umani collaboreranno fianco a fianco con squadre di operatori digitali.
La paura che una “macchina” ci sostituisca è una paura quasi ancestrale. Gli esseri umani hanno temuto di perdere il lavoro a favore delle macchine per millenni; basti pensare che nel 350 a.C., Aristotele temeva che le arpe in grado di suonare da sole avrebbero reso i musicisti obsoleti. Eppure, l’automazione, non ha mai creato disoccupazione di massa: la tecnologia ha sempre generato nuovi lavori per sostituire quelli che ha distrutto. E gli ottimisti dell’intelligenza artificiale di oggi sostengono che anche se le nuove tecnologie potranno spostare alcuni lavoratori, questi saranno comunque in grado di stimolare la crescita economica e creare nuovi lavori, migliori e più soddisfacenti.
E’ ovvio che questa non sia una garanzia.
Man mano che l’intelligenza artificiale entra nei processi produttivi costringe i lavoratori – a ogni livello – ad adattarsi e a concentrarsi sullo sviluppo di quelle competenze prettamente umane che le macchine non possono facilmente replicare.
Per ora, la cooperazione tra umano e IA è ancora inscindibile.
E mentre vediamo una scimmia che può fare cose che noi umani non potevamo nemmeno immaginare, possiamo tirare un sospiro di sollievo che la rivoluzionaria e autocosciente intelligenza artificiale chiamata Skynet, del film Terminator, non sia stata ancora inventata.
O sì…?