
All’inizio dell’emergenza Covid-19, in pochi giorni, anche le aziende meno portate all’innovazione si sono trovate a dover far lavorare il proprio team in remoto. Di questo se ne è già parlato in abbondanza.
Sdoganata tale possibilità, in attesa di una normativa che vada oltre le necessità derivate dalle esigenze a breve termine, sono in molti a porsi un quesito: si può pensare di lavorare con persone che vivono in pianta stabile lontani dalla sede aziendale? Se si riesce ad operare in modo efficace anche a distanza, perché limitare i processi di selezione a candidati che abitino in prossimità della sede, o disponibili ad un trasferimento di residenza?
In questo nuovo scenario, l’azienda informatica di Bolzano potrebbe valutare il web designer di Alcamo. La banca d’affari di Londra, l’addetto al costumer care di lingua italiana in grado di lavorare dalla sua casa di Lissone.
In molti settori come quello del gaming, questa opzione viene utilizzata già da molti anni, con grande successo.
Rispetto al caso Italia, si inizia a parlare di south working, la possibilità di poter lavorare senza dover necessariamente emigrare verso nord. A questo si aggiunge anche il fatto di poter sfruttare il più basso costo della vita nelle regioni del sud, che godrebbero esse stesse di una maggiore circolazione di denaro sul territorio. Un circolo virtuoso che, a sua volta, potrebbe generare nuove opportunità e posti di lavoro.
E’ ancora presto per avere le idee chiare rispetto a un tema così complesso: un’ipotesi così affascinante ed allineata con il mondo del lavoro del futuro, non deve però necessariamente essere scartata a priori.