Ma cos’è Clubhouse?

Clubhouse è una nuova piattaforma social di solo audio – ebbene si, niente foto patinate, niente ringlight, niente chat – che nasce da una start up statunitense nell’aprile 2020 dall’idea di Paul Davison e Rohan Seth. Inizialmente il neonato social aveva al suo interno solo utenti accuratamente selezionati e di spicco. Il boom in Europa pare sia stato del tutto casuale ed esplode a metà gennaio 2021 quando inizia il tam-tam tra i digital workers e tutti hanno iniziato a parlarne.

Come si entra?

Come in tutti i club esclusivi che si rispetti c’è la selezione all’ingersso. Partiamo col dire che Clubhouse è disponibile solo per i dispositivi Apple. Quindi se il mondo si divide tra mele e robottini già la metà degli utenti viene tagliata fuori; in ogni caso anche se si ha un iPhone o un iPad non è così facile accedervi. Sì, perché non basta scaricare l’app e crearsi un account. Dopo aver terminato le formalità di registrazione si viene fatti “accomodare” in una waiting list la cui lunghezza non ci è data di sapere. Ovviamente c’è il modo di saltare la lista e accedere senza fare la fila: farsi invitare da qualcuno che è già dentro tramite iMessage.

Come funziona?

Una volta dentro l’intefaccia è veramente minimal. Nella home si trovano le stanze virtuali, chiamate “room”, nelle quali si trovano gli utenti intenti in chiacchiere varie. La room è composta da tre parti: il palco, dove ci sono gli amministratori della room e le persone a cui i moderatori hanno dato “diritto di parola” detti speaker, il sottopalco, dove si trovano gli amici degli speaker, e la platea ovvero dove si trovano tutti gli altri. Chi non è speaker può chiedere salire sul palco e dire la propria toccando l’icona della mano, altrimenti si può anche  rimanere semplicemente ad ascoltare come fosse una radio o un podcast.

Perché c’è tutto questo fermento intorno a Clubhouse?

Le ragioni sono molteplici. Per prima cosa la novità: in mondo in cui la vita media di un post o di una notizia è di massino 24 ore tutti vogliono essere i primi a usare qualcosa di nuovo, prima che venga considerata datata. Il secondo motivo è l’effetto carpe diem: visto che le room sono in diretta e senza possibilità di streaming (vietatissima la registrazione) c’è il desiderio di il voler stare lì, sempre su pezzo, perché non sia mai che entra Elon Musk all’ improvviso in una room che fai, non ci vai a sentirlo ad un telefono di distanza? Eh, si perché non importa quanto si è lontani nella vita reale, all’ interno di Clubhouse la sensazione che si percepisce è di intimità, nonostante la distanza fisica. Il terzo, e tutt’altro che trascurabile motivo è l’esclusività dovuta dalla scarsità degli inviti: ogni utente ne ha a disposizione solo due. Due, e soltanto due inviti da distribuire tra amici, parenti, colleghi e conoscenti mettendo a dura prova la classifica delle priorità di ognuno di noi.

Non che il metodo ad inviti nel mondo digital sia una novità. Google, agli esordi del proprio servizio di posta elettronica, aveva adottato lo stesso meccanismo, ma non si ricordano episodi in cui le persone erano disposte a pagare 50$ per avere un invito su Gmail.

Le cose positive

Il lato interessante è sicuramente la modalità di interfaccia solo volale. Dalle chat istantanee dove non c’è ne limitazione di caratteri ne di spesa che inducono le persone ad un uso spesso ossessivo compulsivo del testo scritto – i più navigati ricorderanno l’era degli sms con un limite di 160 caratteri per un costo di 280 lire a messaggio. Sì, lire. –  passando per le videochiamate e i videomessaggi, improvvisamente si passa alle lunghissime chiacchierate esclusivamente vocali e senza nessun supporto visivo. Inoltre, essendo un social con utenti selezionati si può dire che è un luogo ancora genuino, friendly e politcally correct. Entrando nelle room si ha la possibilità di parlare con molta naturalezza con persone con cui nella vita reale difficilmente si sarebbe venuti a contatto tra cui personaggi famosi, imprenditori, professionisti del mondo digital, artisti e quant’altro e, se la chiacchierata è stata gradevole, ci si scambia anche il follow. Non si sa mai che un domani serve il contatto di un game designer, di un deejay radiofonico, di investitore di alta finanza o di un produttore discografico. Insomma, si è rivelato davvero un ottimo modo di fare networking.

Le cose negative

Purtroppo non è tutt’oro quello che luccica e per ora la nota dolente è un pò la monotonia degli argomenti, almeno per le room in italiano. I topic più gettonati sono il marketing, il digital, l’imprenditoria, la crescita finanziaria, il busineess e l’attualità. Argomenti interessantissimi ma dopo un pò la sensazione è quella di stare al bar con degli amici che parlano solo di lavoro. Per ora ci sono poche room in cui si parla di altri intessi o hobby. Del resto se la prima domanda che tutti ti rivolgono è “che lavoro fai?” Si capisce che l’interesse principale è sapere come uno si paga le bollette e non quello che uno fa per divertirsi. Ma questo è una criticità sociale che va oltre Clubhouse, in effetti.

In conclusione

Pollice verso o pollice recto?

Incipit è molto interessante e, a parte l’eccitazione di essere tra i primi pionieri di un nuovo fenomeno che può entusiasmare più del dovuto, per ora è un social che funziona e sta funzionando molto bene anche a livello tecnico, non si sono riscontati problemi di lag anche in stanze da 1700 persone. Cosa c’è di rivoluzionario? Probabilmente è la possibilità di chiacchierare veramente con tutti e questo senso di vicinanza che si prova nelle room.  Bisognerà vedere come si svilupperà il fenomeno nei prossimi mesi, fare una valutazione più oggettiva quando diventerà mainstream, quando uscirà dalla nicchia e sarà senza selezione all’ ingresso anche se diciamolo, l’attesa per entrare in Clubhouse è essa stessa Clubhouse.

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